Mukhalinga main exhibition

La mano e l'idea | I mukhalinga | Contenere l'impossibile

   
Gianfranco Rossi
Contenere l'impossibile
Come e perché sono divenuto collezionista di mukhalinga

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Anni fa entrai in contatto con il nucleo vuoto del mio essere. Fu un momento allo stesso tempo terribile e di sorprendente bellezza, un momento che trascese la mia immediata realtà.

Ero certo che il mio stato sognante mi stesse annichilendo e ne ero rapito. Eppure, essendo la persona pragmatica che ero, avevo bisogno di un qualcosa di tangibile per dare sostanza a ciò che sentivo.

Fu in quel momento che lasciai che i miei occhi si abbandonassero posandosi per la prima volta sulla wand of light (verga di luce), la tradizionale rappresentazione della forza penetrativa cosmica, ovvero il linga o lingam.

Con il proseguire dei miei studi e lo svolgersi della mia ricerca, mi resi conto della profonda differenza che esisteva tra lo skambha (denominazione di Purusha, la metà mascolina di Brahma, “un vasto essere impersonato e interamente coesteso con l’universo”) e il lingam, ma non era lì che aveva avuto inizio la mia ricerca.

Se lo skambha si presentava come coesteso con l’universo, io invece mi sentivo piuttosto come un volto donato ad un momento.

Il mio momento di ansia esistenziale era segnato dalla mia natura stessa, influenzato dalla mia storia, faceva parte integrante del mio futuro, ed io avevo bisogno di dare un volto alla forza che percepivo e sentivo con tutto il mio essere.

Camminai per giorni, senza sapere veramente cos’era che stavo cercando. La sensazione era come se il viaggio che stavo intraprendendo, assumesse una sua mente propria e mi stesse guidando, riflettendomi, consentendomi di essere; cercai di non interferire.

Mentre percorrevo questi sentieri tanto solitari, il mio stato emotivo fluttuava, ora intensificandosi e ora diminuendo di intensità, come se lo stesso atto di cercare riuscisse a portare in me un qualcosa di antico e sconosciuto, una sorta di forza mistica di provenienza cosmica, ma nel contempo molto concreta, terrena.

Sentii di aver bisogno di una scorza tangibile per mascherare le sensibilità sempre più intense che la mia mente stava producendo. Dico una scorza tangibile, eppure non era di protezione quello di cui i miei sensi provavano desiderio, ma piuttosto di un punto di osservazione privilegiato, di una sorta di balcone, di un certo tipo di fortificazione esistenziale.

Questo, sapevo, poteva manifestarsi sotto varie forme e fatte, ma vedere per la prima volta un mukhalinga, ovvero ciò che riveste l’immensità del nulla, fu per me un momento a dir poco illuminante.

Non potevo resistere alla tentazione di acquisire e di possedere la maschera (mukha) del segno (linga), poiché il mukhalinga simboleggia la vastità dell’interazione spirituale e concede sollievo, silenzio e profonda tranquillità.

Avviai la mia collezione di mukhalinga quel giorno stesso, seguendo i sentieri sinuosi di questa antica tradizione del cercare ciò che è nascosto e del nascondere ciò che viene cercato. Non sapevo in quel momento che sarei diventato un collezionista di mukhalinga, nessun vero collezionista lo sa all’inizio, eppure eccomi qui.

Da molti anni ormai penso alla mia collezione di mukhalinga come alla rappresentazione di una sorta di schiudersi della comprensione, una conoscenza della mente umana nella sua ricerca sia di ciò che muove il tutto, sia di ciò che copre il reale. Spero di poter condividere, attraverso il concreto manifestarsi della collezione di mukhalinga, qui presente, una piccola parte della comprensione più vasta di cui siamo tutti partecipi, una comprensione alla quale ho avuto il privilegio e la fortuna di essere esposto.